Italia attrattiva per le start up. Uno studio prova a dare la ricetta del successo
L’Italia continua ad essere un territorio attrattivo per le start up. Nel secondo trimestre dell’anno gli investimenti in Venture Capital italiano hanno raggiunto 552,6 milioni di euro (erano stati 443,6 nel primo trimestre). Il numero di round ha invece registrato un calo: 57 nel secondo trimestre rispetto ai 76 del primo. Questi sono alcuni dei dati emersi dall’Osservatorio sul Venture Capital in Italia, realizzato da Growth Capital in collaborazione con Italian Tech Alliance. Giunto alla sua seconda edizione, il report ha rilevato l’andamento degli investimenti e i trend nell’ecosistema del Venture Capital italiano. Complessivamente nel primo semestre del 2022 sono stati investiti oltre 996 milioni, dato in aumento rispetto al secondo semestre 2021 (+30%). A pesare sono stati soprattutto il round Serie B di Scalapay (188 milioni) e il Serie A di Newcleo (300 milioni). I round annunciati nel primo semestre 2022 sono stati 133, il numero più alto del periodo 2017-2022, ad eccezione dei 147 del primo semestre 2021. Il primo settore in termini di ammontare raccolto è Smart City (322,6 milioni in 16 round), seguito dal Fintech (315,8 milioni in 20 round), e Food and Agriculture (88,9 milioni in 14 round). Smart City, DeepTech e Software sono gli unici settori ad aver manifestato una crescita numerica nel Q2-22 rispetto al Q1-22 (rispettivamente +8, +3 e +2).
La ricetta del successo
La ricetta per il successo di una start up passa dal settore nel quale nascono ma anche dalla diversità di genere che caratterizza la compagine societaria, l’esperienza e le dimensione del board e la dimensione del portafoglio degli investitori. Lo dice uno studio che è stato presentato alle giornate della Sima - Società italiana management che si sono tenute alla Bocconi a Milano. Lo studio è stato condotto da Stefano Franco, ricercatore in managment della Luiss; Viviana D’angelo docente alla Università Cattolica di Milano; Antonio Messeni Petruzzelli docente di innovation management all’Università di Bari, ed Enzo Peruffo docente di corporate strategy alla Luiss. Nello studio si dimostra come le start up che sono legate ai settori più tradizionali del made in Italy ottengano dei risultati mediamente migliori rispetto alle altre. “Ciò significa che lavorare nei settori tradizionali rappresenta ancora un buon investimento per i giovani imprenditori, che possono trovare supporto in una rete consolidata di attori rilevanti che hanno costruito il loro successo nel corso degli anni”, spiega lo studio. “Inoltre”, aggiunge la ricerca, “questo risultato è incoraggiante per i tradizionali settori industriali italiani in quanto dimostra che è in grado di innovarsi e che le giovani imprese sono in grado di dare slancio per il futuro”. Tra le altre variabili che influenzano la crescita delle start up c’è anche la diversità del team. A fronte di team più eterogenei, infatti, ci saranno maggiori possibilità di vendita della start up. Un dato particolare riguarda l'esperienza del fondatore, il coefficiente negativo è da interpretare positivamente, in quanto assume valori inferiori quando i fondatori sono più esperti. Pertanto, l'esperienza del team è un altro fattore associato a una migliore performance delle startup. Infine il campione di analisi studiato: che si è basato su 11.842 startup italiane fondate tra il 2013 e il 2020 e appartenenti a 75 diversi settori raggruppati in 18 categorie, (circa il 98% delle imprese iscritte all'albo ufficiale delle startup innovative italiane). In media, le startup italiane sono ancora piccole, contando 1,5 direttori/manager e dando lavoro a 1,5 dipendenti nel 2019. Tuttavia, la dimensione delle startup cresce nel tempo, dato che questo valore è in aumento rispetto al 2018 (1,26) e al 2017 (1,12). Ad esempio, la startup più grande nel 2017 contava 65 dipendenti, mentre nel 2019 il numero è cresciuto fino a 246.