Fatturazione ad una "cartiera", nulle le preteste del fisco
La sentenza della corte di giustizia tributaria di Palermo nei confronti di una azienda che aveva venduto ad una impresa esportatrice senza Iva.
L’Agenzia delle Entrate pretendeva un pagamento di oltre duecento mila euro per Iva recuperata a seguito di una accusa di fatturazione infedele per operazioni soggettivamente inesistenti. Ma la Corte di giustizia tributaria di primo grado Palermo ha dato ragione ad una società che opera nel settore dell’agroalimentare dicendo che la somma non è dovuta. Questa la vicenda dell’azienda del settore dell'agroalimentare difesa dal commercialista Giorgio Motisi che nel 2021 riceve la contestazione dopo un controllo fiscale relativo alle fatture del 2016 e 2017. La contestazione mossa è che l’azienda avrebbe venduto della merce ad una società (che si presentava come esportatrice e quindi non tenuta a pagare l’Iva sugli acquisti e che aveva presentato la regolare dichiarazione che attestava questa sua condizione agli uffici dell’Agenzia, debitamente riscontrata dal contribuente) ma che in realtà era una "cartiera": una di quelle scatole cinesi costruite per evadere il fisco. L’azienda difesa da Motisi in buona fede aveva fatturato la merce che era stata anche consegnata e regolarmente pagata. “Nel controllo fiscale”, dice Motisi, “ci viene contestato che questi soggetti non potevano comprare in esenzione iva e, non potendolo fare, noi non avremmo potuto fatturare senza iva e quindi ci chiedevano l’imposta su queste operazioni. La società ha dimostrato la totale estraneità all'operazione e l’assenza di qualsiasi vantaggio economico”. I magistrati tributari di primo grado con due diverse sentenze relative ai due anni contestat hanno stabilito “l’inesistenza di un interesse a porre in essere l’operazione”. Ed inoltre, sul tema dell’onere della prova e della dimostrabilità dell’intento fraudolento da parte del contribuente le sentenze mettono un altro tassello a favore dei contribuenti in buona fede: “l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare in modo adeguato, sia gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione dell’IVA, sia quelli che dimostrino che il soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe potuto sapere che l’operazione rientrava in una frode”. “Una importante sentenza”, commenta Motisi, “che riequilibra e mette l’accento su un rapporto di parità di diritti tra Contribuente ed Agenzia delle Entrate".